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"Accettare le cose che non si possono modificare...", diceva un vecchio adagio. Ma che c'è di più inaccettabile di una malattia che ti conduce alla morte dopo aver imprigionato una mente vigile in un corpo immobilizzato? L'ineluttabilità di certi eventi rende difficile la rassegnazione: la SLA ti priva del movimento, ti impedisce di fare le cose a cui tenevi di più. Correre, camminare, andare a funghi, coltivare il tuo lavoro, i tuoi impegni sociali, goderti boschi, albe, tramonti, mare e paesaggi sconfinati: tutto questo se lo è portato via la SLA, la Stronza, come la chiamava un malato illustre, il calciatore Borgonovo.
Ma capacità di ragionamento e sensi intatti ti permettono di godere ancora del meglio che ti riserva la tua vita. Prima di tutto l'amore, quello che dai ai tuoi cari e ai tuoi amici, quello che da loro ricevi e il circuito affettivo che da qui si genera. Quanto più forte è la pena, tanto più tangibile diventa l'amore che la contrasta. E' così forte, l'amore, che ti sembra di poterlo toccare come un oggetto materiale, o di vederlo e sentirlo nell'aria come una nube di incenso profumato. Ogni bacio, ogni attenzione, ogni cura è un balsamo che lenisce le piaghe del cuore. Un affetto grande che è immagine dell'amore che Dio ha per noi, e che si manifesta tanto più forte nei panni che riceviamo per ripararsi dal freddo che ci attanaglia. Ho tanto freddo in questo momento, ma ho anche tanti panni (di cashmere!). A consolarmi infatti, oltre all'amore di Dio e dei miei cari, c'è anche la possibilità che ho di attingere alle risorse della mente, che mi hanno sempre guidato anche quando stavo bene.
La prima fra queste è la capacità di stringere i denti nelle avversità e temperarle con tanti sentimenti positivi, tra i quali regna su tutte l'ironia della vita. Sembra che ci voglia un gran coraggio per mettersi a ridere in una situazione come questa, ma a pensarci bene, di fronte a una forchetta che ti cade di mano o a una gamba che cede sotto il tuo peso, richiede meno sforzo riderci sopra che affliggersi e macerarsi. L'ironia in casa mia non è mai mancata, abbiamo imparato l'uno dall'altro a ridere di tutto soprattutto di noi stessi. "Un po' per celia, un po' per non morire" come diceva Madama Butterfly. Quante tensioni, quanti rovelli mentali e quanti strascichi rancorosi ci risparmia una visione della vita scanzonata e positiva anche in frangenti come questo in cui verrebbe spesso da dire "ma che c'hai da ride?". Che c'ho da ride? Rido perché comunico! Rido perché ricevo baci e cortesie, perché prego, perché sono fedele a me stesso e a quello in cui ho sempre creduto. Rido perché so' vivo, perché ragiono e perché ogni mattina che vedo il sole sorrido e ringrazio la Provvidenza.
La mia forza è dentro di me, ma l'amore e l'allegria che ricevo dall'esterno la fanno emergere, la coltivano e la fortificano. Quando la malattia sarà ai suoi gradi peggiori, non lo so se tutto questo riuscirà a sostenermi come adesso, però intanto vivo, rido, prego, combatto la Stronza e amo.
Fonte: Blog di Sabino Paciolla, 20 maggio 2021
COMMENTI DI TRE GIOVANI PRESENTI ALLA CONFERENZA
Alessandro comunica una forza incredibile. Ha gli occhi così vivi che superano la carrozzina che ha sotto di sé. Mi ha fatto capire che dalle difficoltà impariamo sempre e quando siamo più fragili, ci sentiamo più bisognosi di amore e cerchiamo sostegno negli altri e in Dio. Mi è piaciuto quando ha raccontato l'esperienza del parapendio, che aveva voglia di volare, che nulla è a caso, e che il male non capita solo a chi se lo merita, ma è insito nella storia di ogni uomo e per questo spesso non lo capiamo. Pensavo che la sua testimonianza mi avrebbe reso triste, invece mi ha travolto la sua autenticità, la sua fede e la sua simpatia. Grazie.
Di Alessandro mi ha colpito quando ha detto, nonostante la gravità della sua malattia, "Dio è stato fin troppo buono con me".
Ho visto un uomo ridere davanti alla morte. Un soldato che non ha ancora finito di combattere la sua buona battaglia.
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